Yuri richiude in silenzio la vecchia radio a valvole, appoggiata sulla piccola scrivania di fianco al letto assieme alla pistola e al computer. L'anomalo ronzio dell'alimentatore di carica del suo PC è l'unico rumore nel silenzio della sua stanza, la 317. Probabilmente la qualità dei vecchi impianti elettrici del motel non è molto gradita al suo portatile.
Yuri fissa le ultime viti: ora la radio è a posto. Fortunatamente l'entità del danno era una sciocchezza, non servivano pezzi di ricambio. Con movimenti delicati, il giovane sfila l'alimentatore del computer dalla presa, sostituendolo con la spina della radio.
L'improvviso gracchiare delle frequenze morte riempie il silenzio. Yuri si affretta a girare la manopola per abbassare il volume. Poi, con dovizia e precisione ruota quella delle frequenze, in cerca del segnale.
Alcune note... perse... Yuri le ha udite, ne è certo. Con costanza torna indietro con le frequenze, piano, piano... eccole...
Il giovane russo ha un tuffo al cuore. Il caldo gli sale dal ventre al volto. Non è da lui provare queste emozioni, si ripete. Ma quelle note, quella canzone, non è una canzone qualsiasi. Le coincidenze, gli scherzi del caso, sono spesso talmente strani da indurre le persone a credere nel destino, nel fato.
"Paint it black" dei Rolling Stones suonava nell'autoradio del suo contatto americano, quando lo venne a prendere oltre Checkpoint Charlie. Era stata una strana scoperta, quella musica occidentale.
Yuri aveva vissuto il comunismo e la guerra fredda, le privazioni e le costrizioni di quell'anacronistico regime. Aveva desiderato a lungo quella fuga, quella libertà che si era conquistato per mezzo della sua passione per la tecnologia. L'americano con cui era venuto in contatto lavorava per i servizi informatici di una famosa società tedesca. Fu lui a vedere il potenziale che si celava nel giovane russo, fu lui che decise di renderlo uno dei migliori. Ma per farlo doveva regalargli la libertà, una nuova vita fuori dalla cortina di ferro.
Quella mattina ad Alexander Platz fu l'ultima volta che vide suo padre. C'era la neve a Berlino...
Suo padre lavorava per il KGB. Era stato mandato dalle alte sfere di Mosca a Berlino Est per chissà quali compiti, e vi si era trasferito portando con sé moglie e figlio.
Yuri odiava suo padre: era un uomo autoritario, che soffocava ogni sua passione. A volte si svegliava sudato nel cuore della notte, spaventato dall'inconscio desiderio di ucciderlo che si esprimeva nei suoi sogni.
Quella mattina ad Alexander Platz fu l'ultima volta che vide suo padre, prima di recarsi a Checkpoint Charlie. Non lo salutò. Nessuno disse nulla. Si leggeva nell'aria fredda che non si sarebbero più rivisti.
Dopo la caduta del Muro, mentre il comunismo si sgretolava lentamente trascinando con sé chi non sapeva salire sul carro della nuova Russia, Yuri venne a sapere dalla stampa sovietica che suo padre era stato arrestato per alcuni scandali interni al KGB.
Da quel momento in poi, ne perse completamente le tracce, o meglio non ne cercò più. Non c'era nulla che lo legasse al suo passato.
Almeno fino ad ora.

1.23 - YURI MADRONICH

Yuri richiude in silenzio la vecchia radio a valvole, appoggiata sulla piccola scrivania di fianco al letto assieme alla pistola e al computer. L'anomalo ronzio dell'alimentatore di carica del suo PC è l'unico rumore nel silenzio della sua stanza, la 317. Probabilmente la qualità dei vecchi impianti elettrici del motel non è molto gradita al suo portatile.
Yuri fissa le ultime viti: ora la radio è a posto. Fortunatamente l'entità del danno era una sciocchezza, non servivano pezzi di ricambio. Con movimenti delicati, il giovane sfila l'alimentatore del computer dalla presa, sostituendolo con la spina della radio.
L'improvviso gracchiare delle frequenze morte riempie il silenzio. Yuri si affretta a girare la manopola per abbassare il volume. Poi, con dovizia e precisione ruota quella delle frequenze, in cerca del segnale.
Alcune note... perse... Yuri le ha udite, ne è certo. Con costanza torna indietro con le frequenze, piano, piano... eccole...
Il giovane russo ha un tuffo al cuore. Il caldo gli sale dal ventre al volto. Non è da lui provare queste emozioni, si ripete. Ma quelle note, quella canzone, non è una canzone qualsiasi. Le coincidenze, gli scherzi del caso, sono spesso talmente strani da indurre le persone a credere nel destino, nel fato.
"Paint it black" dei Rolling Stones suonava nell'autoradio del suo contatto americano, quando lo venne a prendere oltre Checkpoint Charlie. Era stata una strana scoperta, quella musica occidentale.
Yuri aveva vissuto il comunismo e la guerra fredda, le privazioni e le costrizioni di quell'anacronistico regime. Aveva desiderato a lungo quella fuga, quella libertà che si era conquistato per mezzo della sua passione per la tecnologia. L'americano con cui era venuto in contatto lavorava per i servizi informatici di una famosa società tedesca. Fu lui a vedere il potenziale che si celava nel giovane russo, fu lui che decise di renderlo uno dei migliori. Ma per farlo doveva regalargli la libertà, una nuova vita fuori dalla cortina di ferro.
Quella mattina ad Alexander Platz fu l'ultima volta che vide suo padre. C'era la neve a Berlino...
Suo padre lavorava per il KGB. Era stato mandato dalle alte sfere di Mosca a Berlino Est per chissà quali compiti, e vi si era trasferito portando con sé moglie e figlio.
Yuri odiava suo padre: era un uomo autoritario, che soffocava ogni sua passione. A volte si svegliava sudato nel cuore della notte, spaventato dall'inconscio desiderio di ucciderlo che si esprimeva nei suoi sogni.
Quella mattina ad Alexander Platz fu l'ultima volta che vide suo padre, prima di recarsi a Checkpoint Charlie. Non lo salutò. Nessuno disse nulla. Si leggeva nell'aria fredda che non si sarebbero più rivisti.
Dopo la caduta del Muro, mentre il comunismo si sgretolava lentamente trascinando con sé chi non sapeva salire sul carro della nuova Russia, Yuri venne a sapere dalla stampa sovietica che suo padre era stato arrestato per alcuni scandali interni al KGB.
Da quel momento in poi, ne perse completamente le tracce, o meglio non ne cercò più. Non c'era nulla che lo legasse al suo passato.
Almeno fino ad ora.

1 commento:

Mr. Mist ha detto...

Che bella canzone "Paint it black"! Mitici Rolling Stones!