Portavano il peso dei ricordi.
Portavano quello che gli altri non potevano più sopportare.
Spesso si appoggiavano gli uni agli altri, deboli o feriti.
Portavano malattie.
Portavano piccole scacchiere o palloni da basket.
Portavano dizionari inglese-vietnamita, piastrine di riconoscimento, bronze stars e purple hearts, foglietti plastificati con le regole di ingaggio.

Portavano la terra stessa, il Vietnam, il suolo, la polvere rossa che copriva i loro stivali e i loro volti.
Portavano il cielo.

Camminavano come muli.
Di giorno sotto il fuoco dei cecchini, di notte sotto quello dei mortai, ma non c’era mai battaglia, solo una marcia infinita, un villaggio dopo l’altro, senza alcuno scopo, senza niente da vincere o da perdere.
Marciavano perchè così doveva essere.
In mezzo alle risaie, su e giù dalle colline, un passo, poi un altro e poi un altro ancora, meccanicamente.

I loro principi stavano nei loro piedi, gli obiettivi nei loro istinti.
Non avevano strategia o tattica.
Perquisivano i villaggi senza sapere cosa cercare, prendevano a calci vasi di riso, bambini e vecchi, facevano saltare in aria tunnel, a volte incendiavano tutto, a volte no, si raggruppavano e marciavano verso il villaggio successivo e poi quello dopo, che per loro era sempre lo stesso villaggio.
Portavano le loro stesse vite.
Il carico era enorme.

Nel caldo del pomeriggio gettavano gli elmetti e le giacche, camminavano a piedi nudi.
Nella marcia gettavano via le razioni, le mine Claymore e le granate.
Non aveva importanza.
Alla sera sarebbero arrivati gli elicotteri e avrebbero di nuovo avuto tutto.
Avrebbero avuto frutta fresca e casse di munizioni, occhiali da sole e maglioni di lana, fuochi d’artificio per il 4 di Luglio, uova colorate per Pasqua.
Era l’immenso scrigno dell’America, le fabbriche di armi di Hartford, le foreste del Minnesota, i campi di granoturco, i negozi di auto, portavano tutto come treni merci, li caricavano sulle loro spalle, e in mezzo a tutti i misteri e le ambiguità del Vietnam, almeno una cosa era certa, non sarebbero mai rimasti senza cose da portare.

Tommy firma l’ennesima copia del suo libro.
La guerra è finita dieci anni fa, molti ne stanno scrivendo.
Il suo articolo per AP è stato un successo, come quelli di altri suoi colleghi.
Alla fine gli Stati Uniti si sono ritirati, il Vietnam del Sud è caduto poco dopo.
Alla fine hanno perso, la guerra non è servita a nulla.
L’incontro finisce, Tommy esce nel freddo primaverile di Washington.
La mano gli duole sempre, quando fa freddo.
Chiama un taxi e si fa portare vicino al Vietnam Veterans Memorial.
Passeggia per il parco fino al lungo muro scuro circondato dal verde.
Segue l’elenco di nomi, anno dopo anno.
Fino a trovare i quattro che gli interessano, sono raggruppati, uno dietro l’altro.

Capitano William Riker 1947 - 1971
Soldato Alabama K. Richardson “Blackstick” 1951 - 1971
Soldato Cameron J. Robinson 1950 - 1971
Soldato Jason Ford 1952 - 1971

Passa una mano sui nomi.
Poi si gira e torna verso l’uscita del parco.

58 - EPILOGO


Portavano il peso dei ricordi.
Portavano quello che gli altri non potevano più sopportare.
Spesso si appoggiavano gli uni agli altri, deboli o feriti.
Portavano malattie.
Portavano piccole scacchiere o palloni da basket.
Portavano dizionari inglese-vietnamita, piastrine di riconoscimento, bronze stars e purple hearts, foglietti plastificati con le regole di ingaggio.

Portavano la terra stessa, il Vietnam, il suolo, la polvere rossa che copriva i loro stivali e i loro volti.
Portavano il cielo.

Camminavano come muli.
Di giorno sotto il fuoco dei cecchini, di notte sotto quello dei mortai, ma non c’era mai battaglia, solo una marcia infinita, un villaggio dopo l’altro, senza alcuno scopo, senza niente da vincere o da perdere.
Marciavano perchè così doveva essere.
In mezzo alle risaie, su e giù dalle colline, un passo, poi un altro e poi un altro ancora, meccanicamente.

I loro principi stavano nei loro piedi, gli obiettivi nei loro istinti.
Non avevano strategia o tattica.
Perquisivano i villaggi senza sapere cosa cercare, prendevano a calci vasi di riso, bambini e vecchi, facevano saltare in aria tunnel, a volte incendiavano tutto, a volte no, si raggruppavano e marciavano verso il villaggio successivo e poi quello dopo, che per loro era sempre lo stesso villaggio.
Portavano le loro stesse vite.
Il carico era enorme.

Nel caldo del pomeriggio gettavano gli elmetti e le giacche, camminavano a piedi nudi.
Nella marcia gettavano via le razioni, le mine Claymore e le granate.
Non aveva importanza.
Alla sera sarebbero arrivati gli elicotteri e avrebbero di nuovo avuto tutto.
Avrebbero avuto frutta fresca e casse di munizioni, occhiali da sole e maglioni di lana, fuochi d’artificio per il 4 di Luglio, uova colorate per Pasqua.
Era l’immenso scrigno dell’America, le fabbriche di armi di Hartford, le foreste del Minnesota, i campi di granoturco, i negozi di auto, portavano tutto come treni merci, li caricavano sulle loro spalle, e in mezzo a tutti i misteri e le ambiguità del Vietnam, almeno una cosa era certa, non sarebbero mai rimasti senza cose da portare.

Tommy firma l’ennesima copia del suo libro.
La guerra è finita dieci anni fa, molti ne stanno scrivendo.
Il suo articolo per AP è stato un successo, come quelli di altri suoi colleghi.
Alla fine gli Stati Uniti si sono ritirati, il Vietnam del Sud è caduto poco dopo.
Alla fine hanno perso, la guerra non è servita a nulla.
L’incontro finisce, Tommy esce nel freddo primaverile di Washington.
La mano gli duole sempre, quando fa freddo.
Chiama un taxi e si fa portare vicino al Vietnam Veterans Memorial.
Passeggia per il parco fino al lungo muro scuro circondato dal verde.
Segue l’elenco di nomi, anno dopo anno.
Fino a trovare i quattro che gli interessano, sono raggruppati, uno dietro l’altro.

Capitano William Riker 1947 - 1971
Soldato Alabama K. Richardson “Blackstick” 1951 - 1971
Soldato Cameron J. Robinson 1950 - 1971
Soldato Jason Ford 1952 - 1971

Passa una mano sui nomi.
Poi si gira e torna verso l’uscita del parco.

6 commenti:

Mr. Mist ha detto...

Ehi gente, come state? Beh io vi devo dire che sono un po' emozionato: questo è il mio ultimo giorno di trasmissione, eh sì alla fine la campanella è suonata ed anche per me è arrivata "l'alba" ci sono tante cose che vorrei dire e tante persone da ringraziare, i miei colleghi: Dan Levitan, Padre Miles, il Colonnello Masterson, poi ci sono Miss Mitters ed i suoi colleghi dell'uffico delle stato maggiore ed i ragazzi della redazione! Un pensiero va anche alle persone che ho conosciuto qui e alla fine ho perso: al caporale McCollung ed ai soldati che non sono più tornati dalla loro missione a Burgher Hill, cito anche loro perchè avendo seguito la loro vicenda per tanto tempo ho imparato a conoscerli, un saluto accorato perciò a: William, Alabama, Cameron e Jason non vi abbiamo dimenticato ragazzi!
Ed eccomi qui giunto al mio ultimo pezzo per voi, ne avevo tenuti due pensando a quale fosse il migliore, però in fondo penso che potrei lasciarveli entrambi, potrete ascoltarli uno dopo l'altro o magari scegliere quello che vi sembra più adatto al momento vedete voi! Ecco i mie ultimi due pezzi: "The end" dei Doors e "What a wonderful world" di Louis Armstrong.

https://youtu.be/VScSEXRwUqQ

https://youtu.be/4FmLNtVoeo8

Enjoy e... grazie ancora un abbraccio GOOOODBYE VIETNAM!

Ale ha detto...

Un post conclusivo che moltiplica il valore di tutti quelli precedenti. Bellissimo.

@Nicholas: questo passaggio del libro di Tommy è una tua licenza narrativa o è stato gestito in gioco? Cioè è farina del sacco del giocatore, che ha deciso cosa avrebbe scritto in base a ciò che ha vissuto nell'avventura e a come ha percepito gli eventi?

Ale ha detto...

Comunque un quasi TPK, nelle tue avventure muoiono sempre più a grappoli! :D

Nicholas ha detto...

@ale
No no, a Tommy abbiamo solo chiesto quanto voleva narrare di tutto quello che era successo o se voleva omettere qualcosa e in generale il taglio che voleva dare all'articolo, su colpe o giustificazioni e in generale di come voleva parlare del Vietnam.

La parte in corsivo è una orribile traduzione che ho fatto io da The things they carried un racconto sulla guerra del Vietnam di Tim O'Brien, nessuno al tavolo è minimamente capace di creare un testo simile :D

Per il tpk in realtà a parte alcune sfighe (Riker e Ford) gli altri hanno preso delle scelte che hanno portato alla conclusione, per dire Alabama è tornato indietro, altrimenti era già sull'elicottero, e Cameron ha convinto Tommy a scappare se no poteva esserci un altro tiro per vedere come andava.
Nel complesso però era un'avventura difficile per quello avevo messo le "due vite".

@Mr Mist ottima conclusione di un bellissimo percorso, mancano i ringraziamenti ai giocatori ma anche a radio oneshot! LA tua dedizione è stata encomiabile, così come quella di Ursha.

Ursha ha detto...

Ringraziamo l'impareggiabile aiuto che la nostra ausiliaria Miss Mitters ha avuto nel salvataggio del giornalista Tommy. Lei è un grande esempio dei traguardi raggiunti nell'emancipazione femminile dalle nostre forze armate.

I nostri caduti saranno ricordati per sempre per il sacrificio compiuto.

Mr. Mist ha detto...

@ Nicholas è solo un anticipo:grazie a te per questa storia stupenda.